… in attesa di riprendere gli allenamenti di rugby…
I PILONI
“I piloni sono il biglietto da visita della squadra […] I piloni sono per una squadra, e per una mischia in particolare, come le fondamenta di una casa. Puoi avere la casa più originale, vetrate e verande, balconi e ringhiere, ma se le mancano le fondamenta, crolla al suolo. Polvere e macerie. Così una squadra, e una mischia in particolare: puoi avere le seconde più alte e molleggiate, le terze più infaticabili, ma se le mancano i piloni, crolla al suolo. Polvere e macerie. […] Non è indispensabile che i piloni sappiano calciare. Anzi, a dire la verità, se vedo un pilone che calcia un pallone, la prima cosa che faccio è amputargli i piedi. Tutti e due, i piedi, anche se ha calciato con uno solo. Così impara. Ma tutto il resto – correre, passare, sostenere – i piloni devono saperlo fare, anzi, devono farlo. Non mi servono due pali della luce, tanto si gioca quasi sempre di giorno: io ho bisogno di due terze che giochino in prima linea. Non mi servono due campioni della forchetta o del boccale, che s’ingigantiscono a forza di mangiare e bere: io ho bisogno di due atleti che vadano sempre avanti. A costo di sputare sangue, a costo di scornarsi, a costo di non ricordarsi più, alla fine della partita, come si chiamano e dove abitano. Non preoccupatevi, piloni: ve li ricordo io, nome, cognome e indirizzo. E, se vinciamo la partita, c’è anche il rischio che vi accompagni personalmente a casa.”
IL TALLONATORE
“Il tallonatore fa parte di quell’asse verticale su cui costruisco la mia squadra. Tallonatore, terza centro, mediano di mischia, mediano d’apertura, estremo. Anche se, a essere sincero, di questi ultimi due – eventualmente – se ne potrebbe fare a meno. Il tallonatore, lo dice il nome stesso, non deve fare altro che tallonare. Ora: il termine tallonatore può trarre in inganno, perché presupporrebbe l’uso del tallone, e quindi del piede, per indirizzare il pallone dalla nostra parte e cominciare l’azione d’attacco. A me non interessa che usi esclusivamente il tallone: senza farsi accorgere, può metterci anche una mano, o la testa, o tutto il corpo. Purché non si faccia rubare il pallone, sopratutto quelli nostri, su nostra introduzione. Fisicamente lo voglio tosto come un pilone, con il collo così squadrato che si possa calcolare l’area facendo base per altezza. Però lo voglio un pò meno ignorante, nel senso buono del termine, e un pò più furbo, nel senso cattivo del termine. Salvo contrordini il tallonatore lancia la touche: occhio al corridoio, ma il pallone deve andare sempre un pelo dalla nostra parte, perché tanto anche loro faranno così e l’arbitro non avrà mica il coraggio di fischiare il “cambio” per così poco. Nel gioco aperto, il tallonatore è una terza ala aggiunta: lo perdono se arriva in sostegno un attimo dopo le terze ali di numero e di fatto, anche perché così potrà sostenere l’azione magari nella fase successiva.”
LE SECONDE
“Le seconde sono a rischio. Perché io so benissimo cosa fanno le seconde, a parte saltare in touche: si riposano. In mischia chiusa spingono la prima volta e si appoggiano per il resto della partita, in mischia aperta non le vedi mai perché pascolano per il campo. Le seconde sono a rischio, con me. Le voglio aggressive. Con quel fisico lì possono davvero fare la differenza. Ma si perché saremo sempre quindici contro quindici, ma se le mie seconde viaggiano in coppia, possono fare sfracelli dove le terze hanno aperto un varco, spalancato una breccia, inaugurato un corridoio.”
LA TERZA CENTRO
“La terza centro è un San Bernardo speciale, è una terza particolare, che ingrana la quarta e spedisce gli avversari dietro le quinte. Numero 8. Number eight, dicono gli inglesi che certe volte la mettono giù dura, ma in questo caso hanno ragione. E’ lui il capobanda: dalle tribune si deve sentire la musica della sua generosità. E’ lui il capitano in campo, e per poterlo essere, deve avere le sembianze di un’enorme piovra: tiene insieme il pacchetto di mischia, consegna il pallone al mediano oppure lo raccoglie e riparte intorno alla mischia stessa per guadagnare terreno. E se anche fosse un solo centimetro, fa niente, anzi va benone. Perché un centimetro alla volta gli avversari sono costretti ad arretrare. E un centimetro perduto dalla mischia, significa un metro indietro per il loro mediano, e dieci metri indietro per il loro estremo. Il numero 8 deve capire cosa succede in campo, chi sta bene e chi sta male, i punti deboli e i punti forti e quando arriva il momento di metterci la faccia, oltre alla faccia ci deve mettere spalle, cuore, gambe e sopratutto coglioni. Con rispetto parlando.”
LE TERZE FLANKER
“Alle terze ali io lo dico sempre: voi siete il rugby, gli altri non esistono, fanno un altro sport, e se per caso li trovate nei vostri paraggi fra i piedi è perché non sapevano dove andare. Un problema di mancanza di impianti sportivi. Quando è stato inventato il rugby, si pensava esclusivamente alle terze ali: libere di correre, placcare, segnare, ritornare, aiutare. Dei cani San Bernardo sempre nel vivo dell’azione, sempre in mezzo alla partita. Avanti e indietro. Su e giù. Le terze ali sono piloni nelle mischie aperte, sono trequarti nel gioco alla mano, sono mediani quando ruotano attorno alla mischia, sono estremi quando vanno in chiusura. Le terze hanno fisici bestiali. Le terze hanno il gusto del sacrificio. Le terze devono uscire dal campo senza avere più un goccio di benzina, a secco, prosciugate. Voglio vedere le loro faccie ridotte a prugne secche, le bocche aperte in cerca di ossigeno, i nasi affilati che ci puoi affettare dei salami, i polmoni che si gonfiano sotto le maglie. Alla fine della partita, a differenza dei piloni, le terze si ricorderanno nome, cognome e indirizzo, ma non dovranno più avere la forza per riempire il modulo dell’ufficio anagrafe.”
IL MEDIANO
Il mediano è il capo degli Avanti, coordina le loro azioni chiamando delle giocate con ordini ben precisi. Dove c’è la palla, ci dev’essere anche lui. E’ solitamente l’uomo più piccolo in campo ma placca i piloni avversari e questo sommato alla sua visione di gioco, gli permette di avere la piena fiducia dei suoi Avanti.
L’APERTURA
Insieme al Mediano di Mischia formano la cosiddetta cerniera della squadra. L’intesa tra i Mediani è fondamentale per lo sviluppo del gioco. Se il N°9 è il capo d’orchestra degli Avanti, il Mediano d’Apertura è quello dei 3/4. Oltre a delle buone mani ha un ottimo piede, preferibilmente due.
Il N°10 coordina le fase di gioco aperto, dalla sua visione di gioco e dalle decisioni che prende dipende l’andamento della partita e la salute dei suoi compagni
I CENTRI
I centri a modo loro, sono delle terze mancate. Oppure delle terze sfiatate. Io, ai centri, chiedo solo una cosa, ma se non la fanno, li sbatto fuori squadra: placcare. Placcare è un’arte.
Placcare, dal punto di vista dei centri è un capolavoro. Devo ammettere che non è facile placcare un uomo che ti punta: se non sei attento, se non sei capace, se hai paura, rischi di prendere una botta che ti rintrona per il resto della partita. Come fare uno scontro frontale con un tram, o con un treno: difficile cavarsela. Tutto quello che viene oltre il placcare, ovviamente è il benvenuto. Trasmettere il pallone, sostenere, cominciare una nuova fase. […] Il mio centro ideale deve avere il culo basso: chi ha il culo basso, di solito ha anche l’arte del placcaggio e una buona trasmissione. Magari non sarà un corridore velocissimo, però ha quel gioco di gambe – finte, cambi di direzione e velocità – che mettono in crisi gli avversari. Culo basso e due bicipiti così. Perché i bicipiti servono per non mollare l’avversario dopo averlo placcato. Se c’è una cosa che mi fa diventare matto, è un placcaggio mancato. Ma un placcaggio sbagliato per me è addirittura peggio. Perché significa che l’uomo ce l’avevi era lì a portata di braccia, e te lo sei lasciato andare via.”
LE ALI
“Le mie ali sanno perfettamente che, se alla fine della partita hanno ancora i pantaloncini immacolati, ci penserò io a sporcarglieli per bene. Perché le ali tendono a estraniarsi dal gioco, a distrarsi a guardare chi c’è sugli spalti, a vedere la partita, a scambiare due chiacchere con il guardalinee. Naturalmente questo accade sul versante in cui non c’è la mia panchina, perché una cosa del genere dalla mia parte non potrebbe mai verificarsi.”
L’ESTREMO
“L’estremo deve essere la sentinella in cima al fortino, il secondino con il mazzo di chiavi del carcere, il buon samaritano che corre in aiuto ai suoi compagni, il grande sarto che ci mette una pezza ogni volta che c’è un buco. L’estremo deve avere gambe, cuore e testa. L’estremo è l’uomo in più: in attacco deve inserirsi sempre, e sempre a sorpresa. Una volta fra i due centri, un’altra volta dopo il secondo centro, un’altra volta dalla parte chiusa. Deve impegnare un uomo schierato e quindi garantirci la superiorità numerica. L’estremo deve saper calciare, e sapere quando deve calciare. Deve prendere i palloni alti a occhi chiusi. Deve chiedere il pallone quando capisce che la squadra avversaria ha un punto debole, o è schierata male. Non voglio un estremo giovane. Lo voglio esperto, vecchio di combattimenti, che si ricordi tutti gli errori che ha commesso giocando ala o apertura, e le notti che poi ha passato insonne nel vergognarsi di quegli errori. Lo voglio con la barba di almeno un giorno, meglio due. Lo voglio capace di dire alla propria donna “senti, piccola”, come in certi film americani o come dice Fred Buscaglione, e vedere lei che trattiene il respiro.”
[Tratto da “La leggenda di Maci: vita, morte e miracoli di Battaglini, il Maciste del rugby” – di Marco Pastonesi]